Una sera mia madre mi portò con sé, doveva andare ad una riunione del partito e mio padre le aveva detto: “Vai tu che capisci meglio e poi non hai vergogna se c’è da parlare”. Era importante quella riunione, veniva uno apposta da Reggio. Ne avevo sentito parlare con interesse da mia madre, quando era andata casa per casa a raccogliere i soldi dei “bollini” delle tessere di chi era iscritto al partito, come faceva tutti i mesi, dicendo a tutte le donne: “Venite eh! Vi vengo a prendere!” […]
Io e mia madre ci sedemmo nella prima file di sedie e quel “compagno”, così lo chiamavano, cominciò a parlare di “disoccupazione”, di “latifondisti”, di “terre incolte”. Io non riuscivo a capire, ma mia madre era attentissima, non voleva perdere una parola e ogni tanto si girava dietro a zittire le sue compagne che chiacchieravano. Dopo poco mi addormentai e mi svegliai ad un subbuglio di voci tra le quali spiccava quella di mia madre che diceva: “Ah io ci vado, non ho paura, chi viene con me?” Risposero da dietro due o tre donne che anche loro si sentivano di andare, ma dove? Lo chiesi un po’ preoccupata a mia madre, perché se per andarci non ci voleva paura forse era pericoloso, ma lei mi tranquillizzò spiegandomi: “andiamo solo da dei signori ricchi che hanno tante terre abbandonate a chiedere se ce le fanno lavorare a noi donne, visto che non troviamo lavoro”.