La scuola che frequentavo aveva caratteristiche femminili che riuscivano a deviare qualsiasi curiosità. Si imparava più che altro un ruolo che non veniva del tutto contestato, ma al quale, anzi, tutto sommato aspiravamo e del quale attendevamo l’arrivo. […]
La scuola si trovava a Villa Paganini. L’andare era stupendo, tra alberi e cespugli e tanti odori di umido profumato. Al cancello entravamo con i grembiuli rosa e celesti, colore quest’ultimo di chi cresceva. Molti di quei grembiuli celesti si sposò prima del diploma. La preside chiamava ballerine tutte quelle che accorciavano il grembiule e sciattone quelli a cui si vedevano gli orli delle gonne. Pure, quando salivamo nella classe del ricamo, dove c’era più luce che altrove ed il verde a vedersi, più rigoglioso, era tutto un cicaleccio e civitterie e canti. Poi finalmente c’era l’ora di pittura e diventavo tuttuno con quei miei colori su bianco.