Alla Sorbona, i genitori erano riusciti con pianti e sacrifici, a mandarmi per breve tempo. […]
Alla Citè Universitaire la maggior parte dei miei amici erano americani. Non avevo niente in contrario ad avere rapporti con loro, ma non potevo fare a meno di guardarli col distacco necessario per l’immagine di yogurt, jeans e pop corn che della America mi ero fatta; ed essi col disprezzo per gli italiani sopravvissuti grazie al loro aiuto. Tanto era profonda questa avversità, mai dichiarata, che i nostri incontri finivano spesso con smorfie e insulti.