Portava una lunga sciarpa rossa avvolta attorno al collo lungo e perfetto, un paletot nero sdrucito di taglio maschile: Vittoria Giunti, una donna eccezionale. Durante la Resistenza teneva il collegamento fra Eugenio Curiel e i giovani del Fronte. Nel primo dopoguerra lavorava alla delegazione alta Italia della Direzione del Partito. Divenne mia amica. Le vicende tragiche che aveva vissuto (il suo compagno amatissimo, ucciso in un’imboscata all’inizio della guerra partigiana; la madre morta nello stesso periodo) non le avevano tolto l’humor di giovane fiorentina. A Firenze Vittoria si era laureata in matematica ed era una giovane speranza nel campo della ricerca; durante la Resistenza aveva abbandonato il lavoro e cambiato città per mettersi in clandestinità. Il suo viso ovale (lineamenti regolari-capelli castani lisci e raccolti) a tratti appariva doloroso; ma Vittoria sapeva anche scherzare. Con me scherzava tanto, mi prendeva in giro per le mie querimonie: sulla suocera, sull’UDI che mi faceva fare la fattorina, e poi le mie confidenze intime, credo che mi ritenesse presso a poco una bambina immatura, ma apprezzava la mia sincerità e l’entusiasmo con cui mi ero buttata nell’attivismo. Ernesto le fece, uno splendido ritratto: lei con la sua sciarpa rossa.
Era così che immaginavo le donne ai vertici del P.C.I.: romantiche e razionali, generose, colte e intelligenti senza far pesare loro “SAPERE”.
A Milano, nel dopoguerra, Vittoria conduceva una vita povera e difficile, erano i primi anni del matrimonio col compagno Di Benedetto che nella guerra partigiana aveva avuto il viso straziato da una granata, dal matrimonio era nato un bambino, il piccolo Alessandro, da lei chiamato affettuosamente “Pallino”. Abitavano una stanza ai piani alti, in via Filodrammatici nel palazzo dove aveva sede la Direzione del P.C.I, e dove venne organizzata la prima Casa della Cultura. Il palazzo era bello, ma la loro stanza senza nessuna comodità e arredata con mobili d’accatto. Vittoria seguiva, per la direzione, il lavoro culturale. Qualche volta le tenevo il piccolo Alessandro, per permetterle di partecipare alle riunioni senza tirarselo dietro.
Quando ci furono le prime elezioni amministrative venne mandata in Sicilia per la campagna elettorale. Mi raccontò che i suoi comizi venivano annunciati insieme ad una vendita di scarpe: “Scarpe per tutti e una “fimmina” che parla”.
In seguito Vittoria divenne istruttrice nelle Scuole di Partito. L’ho persa di vista tanti anni fa quando si trasferì in Sicilia, a Raffadali, il paese del marito. Riprese l’insegnamento, modestamente, nelle scuole medie. L’ho incontrata a Roma, dopo molti anni, serena come sempre.