Lo Stato si manifestava dentro l’istituzione scolastica con tutte le contraddizioni del tempo: dall’intruppamento per file ordinate quando si usciva da scuola in assoluto silenzio, alle bacchettate utilizzate come strumento didattico da certi insegnanti di chiara ma non dichiarata fede fascista. Dalla povertà dei contenuti didattici, al sovraffollamento delle aule, che però in quel contesto storico assumeva una valenza positiva perché così si dichiarava lotta all’analfabetismo molto diffuso di quegli anni e nel contempo si impediva che tanti bambini in età scolare finissero a lavorare “in nero” prima del tempo. In questa scuola ho fatto il vaccino antipolio, che consisteva in qualche goccia di quel miracoloso farmaco data ai ragazzi con l’ausilio di uno zuccherino. E anche frequenti radiografie anti TBC effettuate su un grande furgone bianco parcheggiato nel cortile. È certo innegabile che la scolarizzazione di massa combinata con questa opera di prevenzione e tutela della salute di milioni di bambini che sarebbero stati di lì a pochi anni gli artefici della rinascita economica dell’Italia, evidenziava la positività di uno Stato che attraversa il sistema di sicurezza sociale, investiva nel proprio futuro.