Un terzetto di temerari
Intenso fu l’impegno nella battaglia per la Costituente ed il referendum istituzionale della primavera del ’46.
Mentre centinaia di disoccupati reclutati per poche lire nei rioni popolari della Civita e di San Cristoforo tappezzavano la città di migliaia di manifesti raffiguranti il re di maggio, Umberto II, gli emblemi della monarchia, della DC, piccoli gruppetti di giovani socialisti e comunisti, volontari cercavano di contrastarli con le poche centinaia di manifesti di cui disponevamo per invitare il popolo a votare Repubblica ed i partiti della sinistra.
“La Repubblica sarà socialista o non sarà” era lo slogan lanciato da Pietro Nenni su l’Avanti! giornale del PSIUP. Un manifesto socialista che avrebbe dovuto colpire l’intelligenza popolare raffigurava Gesù che cammina sulle acque e pronuncia la frase del Vangelo: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei Cieli”. Per noi racchiudeva l’anelito e la prospettiva della fine della disuguaglianza, dello sfruttamento dei potenti sui poveri, l’obiettivo della costruzione di una società veramente cristiana e socialista.
Uscivamo la sera tardi e durante la notte e cercavamo di evitare l’impatto con le squadre monarchiche che avrebbero cercato la provocazione e le intimidazioni; spesso ci coprivano i manifesti e dovevamo la notte successiva rifare il nostro giro.
La campagna elettorale fu lunga ed accesa. Il culmine del suo svolgimento si ebbe quando venne in Sicilia Umberto II. A Catania migliaia di persone lo acclamarono al passaggio per la via Etnea e piazza Stesicoro, stracolma di monarchici fanatici.
I benestanti, le autorità cittadine al loro servizio, i vecchi nostalgici del ventennio riemersi dall’ombra avevano radunato un fiume di gente; c’era in piazza il sottoproletariato dei quartieri più poveri, convinti non solo dalle distribuzioni di pacchi viveri e di soldi, ma anche dalla propaganda delle parrocchie di dover salvare la famiglia, oltre che il reuccio, dalla furia dei senza dio e dei bolscevichi.
In mezzo alla folla dei fanatici un terzetto di temerari, fra i quali l’autore di queste pagine, assieme a Policarpo Moncada e Stefania Montalbano, andò a gridare il nostro “Viva la Repubblica”.. Forse perché ci credettero dei pazzi o perché la folla era tutta tesa a non perdersi il passaggio del loro re, quel giorno uscimmo indenni da quella che fu un’ingenua, ma orgogliosa, manifestazione di fede repubblicana.
Purtroppo, la storia ci dice che il 2 giugno i catanesi avevano votato a grande maggioranza per la monarchia e che in Sicilia su due milioni di votanti soltanto 706 mila voti erano andati alla repubblica. Chiara era stata l’indicazione di voto data dal PSIUP e dal PCI, un po’ meno decisa quella di altri partiti antifascisti e, soprattutto grande era stata la responsabilità della DC siciliana e del clero che avevano invitato a votare monarchia.
Si ebbero notizie di brogli, di numerose persone che avevano votato in sostituzione di deceduti, di medici che avevano rilasciato dubbi certificati di cecità e di menomazioni e di presidenti di seggio compiacenti che avevano consentito l’accompagnamento in cabina di numerosi elettori. Molto attive erano state le suore e i preti.
Dalla sera del 2 e fino al 6 giugno furono ore di ansia e di tensione, di voci contrastanti sull’esito del voto e finalmente la notizia tanto attesa: L’Italia è Repubblica, con oltre 12 milioni di voti; i partiti operai avevano riportato una strepitosa vittoria nel Nord e nel complesso una magnifica affermazione nel Paese.