Non deve confrontare questa sventura con altre,
grandi o piccole che siano, né collocarla nella categoria
degli incidenti. Altrimenti non basta più parlare
di insensibilità perché si tratterebbe di cinismo.
M. MADDALENA ROSSI
Maria Maddalena Rossi nasce a Codevilla (Pavia), il 29 settembre 1906, si iscrive all’Università di Pavia dove si laurea in Chimica nel 1930, si impiega a Milano dove si trasferisce. Dalla seconda metà degli anni Trenta, con il marito Antonio Semproni, ella è attiva nel Pcd’I clandestino, in particolare s’impegna nel Soccorso rosso, attività svolta in gran parte dalle donne. Arrestata a Bergamo nel 1942, Maria Maddalena è condannata al confino a Sant’Angelo in Vado (Pesaro-Urbino), torna in libertà nel 1943 e si trasferisce in Svizzera, dove si occupa della redazione di «Fronte della gioventù per l’Indipendenza», «La Libertà» e «L’Italia Libera», fonti di informazione per gli italiani prigionieri nei campi svizzeri, rientrata a Milano nel dicembre 1944, si occupa nella redazione clandestina de «l’Unità» ed è responsabile della Commissione femminile del Pci Alta Italia. Nel 1946 è eletta all’Assemblea Costituente, nuovamente eletta nella I e II Legislatura. Nel 1952 la deputata interviene in Parlamento su «uno dei drammi più angosciosi» del dopoguerra, sulla «violenza più orrenda e ripugnante di qualsiasi altra violenza che la guerra può recare con sé», gli stupri di guerra, taciuti e ignorati, causa di disonore e di minaccia all’orgoglio nazionale, sostiene la liquidazione di ben 60.000 pratiche di pensione e di indennizzo alle vittime del Lazio Meridionale. La deputata si sofferma con sensibilità sui gravi atti commessi dai militari.
Maria Maddalena Rossi immette nello spazio istituzionale, sordo alle esigenze espresse dalle donne, i disagi materiali e morali da esse subiti, sostiene il dovere etico e la responsabilità civile di non cancellare quella memoria, parte anch’essa delle memorie di guerra: «Noi conosciamo le madri che hanno perso i figli, le mogli che hanno perso i mariti: noi le amiamo, le onoriamo, manifestiamo loro la nostra intera solidarietà, sì che esse trovano qualche volta una sorta di conforto nel sapere che il loro lutto è condiviso, che la memoria dei loro cari scomparsi è sacra a milioni di cittadini. Ma queste donne no! Per queste non c’è conforto possibile. Si devono nascondere, come se si sentissero infette anche moralmente. A queste donne si vorrebbe vietare di parlare della loro sventura, di riunirsi, di reclamare, in nome della pubblica moralità! Inoltre, ella ha confrontato questa sventura a quella di una persona che perde un congiunto in una disgrazia automobilistica o non so che altre». Al parlamentare che nega la specificità di quell’intervento, Maria Maddalena Rossi risponde: «Come si vede che ella non è una donna». Sempre nella veste di parlamentare si occupa, a diversi livelli, dei rapporti con l’estero e degli interessi dei minori. Fra le varie iniziative in questo ambito merita citare la richiesta di snellire i procedimenti di adozione. Prima presidente dell’Udi tra la ricostruzione e la guerra fredda, nel clima incandescente di quello scontro ideologico, ella sostiene la «linea di “supporto” alla lotta operaia». La deputata che aveva fermamente sostenuto i diritti delle donne alla Costituente sarà alla guida di un’associazione che va scolorendo in quegli anni la vocazione emancipazionista. L’Udi si impegna con interventi diversi che vanno dalle raccolte di fondi alle pressioni sulle amministrazioni locali per l’istituzione di colonie marine e montane, asili; sostiene campagne quali “per un bicchiere di latte” e “per una maglia di lana”, si fa promotrice di tante manifestazioni per la pace di chiaro orientamento filosovietico e di petizioni contro l’atomica. «Non siamo più di fronte a un’associazione delle “donne di sinistra per le donne”, ma a un’associazione di “donne per la sinistra”», hanno osservato due protagoniste di quella stagione. È lei, a Roma, il 30 gennaio 1955, a celebrare “solennemente”, tra il ritratto di Eleonora de Fonseca Pimentel e rami di mandorlo fiorito, simbolo della “gioiosa speranza” e della “imminente primavera”, il decimo anniversario del diritto al suffragio femminile. Il discorso, incentrato sostanzialmente contro il Patto Atlantico, fa appello all’unità delle donne «per evitare all’Italia nuove sciagure, per salvare la pace»; deboli, invece, i richiami alla specificità femminile che solo pochi anni prima le era stata a cuore. Nel 1963 la deputata lascia l’attività parlamentare per dedicarsi a quella locale; si stabilisce a Porto Venere, nella provincia di La Spezia, dove aveva trascorso molte vacanze estive. È eletta consigliera comunale, successivamente dal 1970 al 1975 ha l’incarico di sindaca. Nel dicembre 1987 la Provincia di Milano le conferisce la medaglia d’oro per l’impegno sociale, politico e civile.
Muore a Milano il 19 settembre 1995, viene sepolta a Codevilla (Pavia), dove è tuttora vivo il suo ricordo ed una strada a lei intitolata lo mantiene tale.